LETTERA A UN AMICO
Ordunque, non so bene cosa scrivere, che le
emozioni e i sentimenti si rincorrono e a volte contraddicono.
Di certo c’è da dire che esiste una certa coerenza
in quello che abbiamo vissuto: anche la nostra fine è nascosta agli occhi del
mondo, tanto quanto quello che abbiamo vissuto . Ritrovo però una dolcezza
nascosta in quella telefonata (che è il momento che mi ha sconvolto davvero): in quel momento, mi hai voluto salutare, chiusa la telefonata sapevo che
non ti avrei più rivisto.
A modo tuo, è ovvio. Quel tuo modo che mi faceva
arrabbiare, dove non dicevi mai chiaramente quello che provavi, anzi trovavi
sempre scuse per girarci intorno, sminuirlo e farlo apparire ancora meno
importante, salvo poi trovare delle motivazioni banali per cercarmi di nuovo
quando capivi che me ne stavo andando.
Avrei voluto di più? Non credo. Avrei voluto meno sotterfugi
in quello che avevamo, questo sì.
Avrei volto meno cocciutaggine da parte mia, ed
esserci sempre senza intestardirmi nel dirti no, quando sentivo il tuo lato
sfuggente, perché ora che non ci sei più per davvero capisco quanti millesimi
di tempo ci siamo persi per la mia testardaggine, ma sono fatta così, ho un
caratteraccio.
In questi giorni mi vengono alla mente piccoli
momenti che hanno segnato i nostri incontri e me li appunto, per non perdermene
nemmeno uno.
Credo che te li descriverò pian piano nel tempo, perché so bene
che all’inizio li prenderai, li spoglierai di ogni poesia, li smonterai per
trovare il modo di riderne insieme, e poi li caricherai senza parole di quel “qualcosa
di speciale” non detto che c’era tra noi. Di quella dolcezza profonda che non
aveva nome, per donarmeli di nuovo con la freschezza di un fiore appena
sbocciato.
Ora ti do la buona notte e vado ad ascoltare della
musica, di quella per cui discutevamo, perché tu “da musicista” ritenevi che
non fosse abbastanza evoluta o raffinata. Di quella per cui mi prendevi in
giro, ma che poi mi suonavi.
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